Ryanair, Easyjet, Booking, le agenzie di viaggio tutte, dovrebbero unirsi e ringraziare devotamente la letteratura perché senza questa gran signora molti di loto avrebbero molto meno per cui lavorare.
Spesso terminato un libro infatti la voglia di visitare il posto in cui é ambientato é molta, ma nel caso di La vedova Van Gogh di Camilo Sánchez il progettare una visita diviene quasi un dovere verso se stessi e quindi via, catapultarsi al pc e cercare volo e hotel ad Amsterdam! Per quattro giorni ho spiluccato forsennatamente siti di prenotazioni salvo poi venire a patti col tempo a disposizione al momento e rimandare il tutto alla primavera, ma perché questa spinta irrefrenabile ad andare? Cosa c’è in queste pagine che fa pensare di partire immantinente verso i Paesi Bassi? Lei. Lei, la vera protagonista fin dal titolo (che mica sempre dice il vero). Ma prima di lei la sua testa, la sua fondamentale libertà.
Apparentemente liberata nella testa e nei modi da Parigi, non più ingenerosa della terra madre rispetto all’opera di van Gogh e set di buona parte del libro, come mai non é li che ci si vuole tuffare subito? Perché Parigi la accolse ma ella non é frutto dei boulevards perché la Ville Lumiere é, al tempo, città di eccessi e vita libera ma pur sempre prigioniera di un passato troppo pesante perché sia una libertà senza richieste in contraccambio. Allora per la vedova di 28 anni appena e un figlio dal nome pesante, come il passato dello zio, il ritorno a casa é come un viaggio verso il nuovo mondo, una possibilità di accettare e conservare del presente ciò che è utile intessendo nuove basi per il futuro. Ed é li che si vuole andare a vedere dal vivo, ad annusare, a toccare i materiali di una casetta divenuta ostello, per una vedova, per la sua nuova vita, per tutto il lascito di un essere fratelli sul filo di un qualche burrone, burrone che lei evita ma vivendoci accanto a lungo non ne sfugge alle pieghe più belle e ammalianti. L’ accusa del suo tempo avrebbe potuto essere pazzia da vedovanza, malinconia da contatto, contagio d’arte deviata, ma la testa alta e una visione della bellezza incompresa la guidarono in una terra non ancora abbastanza vecchia da temerne l’ irruenza, morale e ideologica. Una protagonista che ebbe il dono, la capacità coltivata, di saper guardare, di riprendersi la sua vita e di abbandonarsi al corpo quando, e se, voleva. Un romanzo in cui l’arte é importante ma il coraggio diventa tutto. Un diario intimo ma la cui ricaduta respiriamo tutt’ora. Tante storie di amori in tempi e forme diverse, quasi dipendenze condite con alcune crudeltà, su tutte pare vegliare lo sguardo dolce e bonario del dottor Gachet, osservato e osservatore, testimone di un’anima senza fondo senza i cui pennelli dolorosi nessuna di queste parole esisterebbe.